martedì 6 settembre 2011

127 Hours (127 Ore)


Innovativo composito stilisticamente assoluto

Le contrapposizioni sono la sua arma vincente, e in questo suo nono lungometraggio Danny Boyle rappresenta il dizionario di tutte le pulsioni emotive moderne.
La storia di Aron Lee Ralston, dopo esser divenuta l'episodio documentaristico Desperate Days in Blue John Canyon della Dateline NBC e un libro dal titolo circostanziale Between a Rock and a Hard Place, finisce nelle ambizioni dello sceneggiatore Simon Beaufoy.
Entrambi alpinisti, il protagonista della vicenda e l'autore, danno vita a quello che successivamente entusiasmerà il regista, una storia che è impossibile realizzare senza cadere nel banale.

Boyle partecipa alla stesura della sceneggiatura e con talento dinamico realizza un film indimenticabile quanto complesso. Si serve di tutta la sua astuzia visiva. Progressivamente riconosciamo time-lapse, split screen, effetti a scomparsa, lunghezze focali cortissime e inquadrature pendenti, tilt, riprese dall'alto, dal basso, dal dentro. Immagini riflesse in altre immagini, bellissimi flare a tagliare le panoramiche.

Un'avventura sportiva più nella rappresentazione che nella vicenda, poichè Aron Ralston nel film e nella vita rimane bloccato per 5 giorni in una fenditura del Blue John Canyon, con nello zaino l'insufficiente attrezzatura da arrampicata e il completo corredo tecnologico cellulare-fotocamera-lettore.

Sarebbe facile fare parallellismi con altri titoli, ma questo è un film assoluto, che ha la capacità di convertire e connettere il protagonismo di un ragazzo solitario con il mondo esterno tramite scenari immaginari, anamnesi e premonizioni. Il solo dissetarsi con il ricordo di una bevanda ghiacciata e tutte le immagini correlate ad essa archiviate nella mente, il dialogare con la fotocamera accesa mettendo in relazione un fatto assolutamente individuale, l'inscenare un talk-show-parodia che deride un tragico errore, l'innondazione come la difficile speranza di liberarsi dalla roccia, sono tutte sedimentazioni dell'animo umano. Sinonimi e contrari accumulati nell'esperienza collettiva che con la forza di gravità danno peso corporeo alla pellicola.

Finalmente un James Franco da vera nomination miglior attore.
Aron Ralston non è un ragazzo comune, ingegnere meccanico, alpinista e scalatore, che conosce egregiamente il Canyon e i singoli percorsi, riesce a dosare acqua e turbamenti. Organizza la sua vita immobile e di ogni attività stila statistiche e calcoli di sopravvivenza. Le cose piccole diventano grandi in un mondo di limitazioni, i significati si amplificano e così la punta di un coltello, le formiche, la linea segnata dal sole sulla roccia sono rilevanti e il corvo che vola tagliando la fessura di cielo è il suo corvo.

Altro punto di forza è la musica. Nella filmografia del regista musica e immagini si amplificano l'un l'altro, i corpi boyliani sono equipaggiati di vita sonora e alla seconda collaborazione con Allah Rakha Rahman questo film ne è la celebrazione.
Degna di attenzione la presenza dei Free Blood, gruppo newyorkese formato nel 2007, con una traccia soprannominata la colonna sonora di feste andate a monte.

Curiosità:
La versione originale del film includeva un finale, del tutto diverso, con il quale gli spettatori avevano una connessione emotiva, in fase di montaggio fu poi tagliato in stile hollywoodiano.
Simon Beaufoy ha tratto ispirazione per la storia di The Full Monty durante la sua permanenza a Sheffield, successivamente ha vissuto in una chiatta sul Tamigi a Wandsworth.
Aron Ralston, lungo il percorso nel canyon, ascoltava il concerto al Thomas & Mack Center, Las Vegas, del 15 febbraio 2003 dei Phish.

Un estratto di Desperate Days in Blue John Canyon:
Nelle mie arrampicate nei canyon ho sempre rotto qualche appiglio: l’arenaria è per definizione la roccia meno resistente all’erosione. E ora non riesco a scalfirla nemmeno picchiandoci contro la lama di un coltello. Per avere una controprova, cerco di incidere la parete laterale con la punta del coltello, usandolo come una penna. Traccio senza problemi una grande G, poi le lettere «eologic». In cinque minuti, completo la frase che ho in mente da quando tutto è successo: Geologic time includes now, Il tempo geologico include il presente.
È una citazione, una delle mie frasi preferite, tratta dalla guida all’alpinismo nel Colorado di Gerry Roach. È un modo più colto ed elegante per dire: «Attenti ai sassi che cadono», una sorta di comandamento rivolto agli alpinisti. Come sa bene chi abita lungo una zona soggetta a frane, o a una linea di faglia, i processi che formano e trasformano la superficie terrestre non appartengono soltanto a ere geologiche lontane ma anche alla cronaca quotidiana.

Link:
127 ore, intrappolato dalla montagna di Aron Ralston
Intervista a Simon Beaufoy
Free Blood

Ascolta:
Free Blood, Never Hear Surf Music Again


Voto:

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